
di Massimo Marini
dal blog http://massimomarini.blogspot.comDopo la
batosta presa alle amministrative romane, dolorosa quanto o forse più di quella presa alle Politiche, all'interno e intorno al PD si agitano convulsamente
spettri da resa dei conti. Ci si chiede continuamente di chi sia la colpa del
fallimento della "nuova" proposta politica: forse
di Prodi, per non aver saputo tirare una sintesi dell'articolata compagine governativa e per non aver saputo sviluppare una politica più redistributiva, o forse della premiata ditta
D'Alema / Fassino, colpevoli di essersi resi protagonisti di intrecci con il mondo della finanza, o magari del nuovo leader
Veltroni, che nonostante abbia goduto sostanzialmente di carta bianca nella gestione della campagna elettorale per ciò che attiene ai toni, alle priorità, alle liste e ai volti da presentare all'elettorato, non è comunque riuscito a superare il fatidico muro del 35%,
né sembra aver conquistato in modo convincente nuovo elettorato né al centro né a sinistra. Ma al netto della già nota tendenza al dramma dei socialdemocratici all'italiana, andrebbero a mio avviso fissati
alcuni punti fermi fondamentali dei quali è necessario assolutamente tener conto nell'azione di rilancio della proposta del Partito Democratico. Anzitutto quello certamente più lampante:
laddove si ha avuto relamente il coraggio e/o la volontà di proporre qualcosa di nuovo e popolare, il PD ha raccolto consensi straordinari. Ne sono un esempio Zingaretti alla Provincia di Roma e Variati al Comune di Vicenza. E come in effetti ne è stato un esempio pure l'affluenza record registrata alle primarie di ottobre che consacrarono Veltroni (l'unico oggettivamente presentabile) e la sua nuova proposta riformista all'indomani della straordinaria manifestazione del V-Day. Insomma,
pare lampante che il popolo di centrosinistra, riformista, progressista o come lo si vuole chiamare, è entusiasta e pronto a raccogliere e sostenere proposte nuove e innovatrici,
ma è anche pronto a punire senza remore, proposte dal sapore di minestra riscaldata o da inciucio funzionale. Rutelli a Roma e Calearo nel Veneto (che non ha affatto spostato voti) ne sono forse l'esempio più visibile, ma se si analizza meglio il voto - ad esempio quello sardo - si scopre che
le vecchie facce dell'establishment isolano hanno raccolto risultati piuttosto magri nelle proprie circoscrizioni, e che quindi il principio secondo il quale è necessario cambiare aria e facce se si vuole tornare a vincere, è più generalizzato di quanto sembri.
Sebbene il tormentore dei nomi nuovi e delle forze fresche e giovani sia da circa un decennio un tantino inflazionato, oggi più che mai appare realmente una esigenza da soddisfare se non si vuole restare schiacciati tra il populismo della destra e l'antipolitica di Beppe Grillo. In seconda battuta
il PD deve andare a far politica fra la gente, intercettandone le reali esigenze - che non sono solo quelle della sicurezza - e le aspettative. Uscire dai loft e dalle sezioni in modo fisico, ma in modo concreto anche uscire dai soliti metodi di confronto e ascolto,
sfruttando in modo più convinto i nuovi media e le occasioni che le nuove tecnologie presentano. Infine la questione della alleanze, scottante argomento che inevitabilmente si ripresenterà ad ogni elezione amministrativa, e che a noi sardi interessa particolarmente viste le imminenti comunali a Cagliari e soprattutto le regionali del 2009.
Come sarà possibile a livello di immagine e di coerenza riproporre alleanze con la Sinistra a pochi mesi dalla fratricida scelta praticata da Veltroni alle Politiche appena passate? Basterà sostenere in modo convinto in pubblico che il programma proposto sarà largamente condiviso (già sentito), o magari si farà appello al voto contro il rischio di un Pili III? O magari si sosterrà che una cosa sono le Politiche, cosa altra sono le elezioni locali - argomento questo spesso usato ma che onestamente risulta un po' poverino. Ecco allora ripresentarsi prepotentemente la necessità di un ricambio generazionale che investa non solo il PD come promesso, ma anche e soprattutto la Sinistra perché
deve risultare chiaro che se in passato non è stato possibile coniugare riformismo e Sinistra non è stata colpa delle incompatibilità dei punti di vista politici, ma è stata la risultante di personalissimi interessi portati avanti da leaderini anacronistici che hanno sempre pensato al proprio orticello piuttosto che all'interesse del cittadino-elettore. Questo bisogna avere il coraggio di dirlo pubblicamente, di ammetterlo, e da questa necessaria presa di coscienza e dal superamento di questi meccanismi
bisogna ripartire per elaborare nuove idee, nuove proposte e nuove strategie.